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GIGLI E ROSE INTORNO A UN VASO DI ROSE

Juan Fernández el Labrador (?), Allegoria dell’Immacolata Concezione, XVII secolo, olio su tela, Bergamo, collezione privata.
Sigla mariana, decorazione di antependium d’altare, XVIII secolo, Chiesa di San Lorenzo, ambito umbro.

GIGLI E ROSE INTORNO A UN VASO DI ROSE
Padre Giovanni Pozzi (Locarno, 1923 – Lugano, 2002) è stato un sacerdote, frate cappuccino, critico letterario e accademico svizzero-italiano. Autore del celebre La parola dipinta (Adelphi 1981), estensiva trattazione sul tema della poesia figurata, Padre Pozzi fu a lungo affascinato dai fiori, analizzandoli come chiavi per penetrare significati e simboli di alcune tra le più alte pagine della letteratura occidentale, nonché della pittura. In uno dei saggi contenuti nel volume Sull’orlo del visibile parlare, teologia e botanica s’intrecciano nell’esplorazione della rosa mystica, spaziando tra secoli e geografie. Di rose mistiche si è occupato a lungo: insieme a Claudio Leonardi ha curato Scrittrici mistiche italiane (ed. Marietti 1988) per poi egli stesso trattarne in alcuni saggi contenuti in Alternatim (Adelphi 1996).

Recuperando l’antico legame tra pittura e letteratura, che affonda le origini nel principio oraziano dell’Ut pictura poësis, padre Giovanni Pozzi conduce una fiorente analisi circa quel fenomeno di assorbimento della parola da parte della pittura, che caratterizza le produzioni artistiche a partire dal XV secolo, descrivendo dipinti che nascondono un testo pronto ad essere decifrato. Rose e gigli per Maria prende avvio da varie interpretazioni intorno ad una Natura morta seicentesca attribuita al pittore spagnolo Juan Fernández el Labrador, Pozzi le passa in rassegna e le vaglia criticamente rilanciando il rapporto tra parola e immagine e recuperando quel procedimento mirabilmente descritto dal sommo teorico Tesauro: “ciò che è scritto dev’essere leggibile; e anche ciò che è dipinto”. Ecco che padre Pozzi traduce l’icona in enunciato: “gigli e rose intorno a un vaso di rose”. Il dipinto si rivela così come un perfetto corrispettivo dell’intera frase del responsorio Vidi Speciosam: “E come un giorno di primavera la circondavano fiori di rose e gigli delle convalli”.

Proposte qui due citazioni a proposito degli attributi floreali mariani:

“Verginità, maternità, Immacolata Concezione, innocenza, purezza, bellezza sono gli attributi mariani evocati, separatamente o a gruppi. Non sono, teologicamente parlando, concetti analoghi. L’ottica teologica, che pur conta in un soggetto sacro, prospetta piuttosto alternative che non equivalenze. Sono alcuni fra i molti attributi di Maria che la speculazione e la pratica devota hanno coperto con una simbologia immensa eppure puntuale. Tutto il progresso della pietà e della teologia vi si è accumulato. Nuove feste, nuove devozioni, nuovi dogmi hanno indotto nuovi concetti senza mai alterare l’apparato metaforico acquisito. Quando si afferma la credenza nell’immacolata, il giglio, prima destinato a significare la verginità, la castità, l’innocenza della madonna, vien chiamato a rappresentare anche (soprattutto) questo nuovo dato. Tuttavia, la polisemia di queste entità metaforiche, in apparenza sconfinata e inflazionata senza tregua, conservava un suo rigoroso ordine interno, per cui si rispettavano la differenza e la gerarchia dei postulati dogmatici, morali e anagogici coperti da un solo figurante metaforico. C’era un ordine dei significati. Lo si coglie molto bene proprio nel caso di giglio e rosa constatando che i molti significati si distribuiscono in una serie di coppie oppositive. Se il giglio significa la verginità, cioè un aspetto della singolare posizione di Maria in quanto donna, le si oppone nella rosa la maternità. Se l’innocenza, prerogativa connessa alla sua persona umana e consistente nell’esenzione dal peccato attuale, le si oppone la pazienza in quanto sottomissione agli effetti del peccato. Se la castità, virtù morale comportante l’astensione dal piacere sessuale, le si oppone la carità intesa come amore non carnale. Se la verginità, intesa come categoria di santità, le si oppone il martirio, subìto spiritualmente dalla madre nella passione del figlio. Solo l’Immacolata Concezione non ha corrispettivo, ma si tende a darglielo attribuendo a rosa il significato di maternità. È una correlazione accettabile in quanto la maternità è la ragione su cui si fonda il dogma. All’ampliarsi delle valenze semantiche sotto il singolo significante risponde un sistema di corrispondenze fra i significati espressi dai due simboli. L’uno può essere nominato senza l’altro, a livello paradigmatico l’uno si contrappone all’altro.”

G. POZZI, Rose e gigli per Maria. Un’antifona dipinta, in Sull’orlo del visibile parlare, Milano, Adelphi Edizioni, 1993, pp.185-213, vedi p.187.

“Gigli e rose messi insieme indicano l’unica persona della madonna in moltissime ricorrenze delle sue lodi. La pietà floreale ha attribuito a Maria poco meno che l’intiero repertorio botanico, ora dettagliando per ciascun fiore un suo attributo, ora riunendo l’intiera flora per elogiarne il nome; sono due svolgimenti d’un solo celebre tema, quello «hortus conclusus», che comprende infallibilmente anche gigli e rose, ma che nulla ha a che fare con il nostro dipinto. altro e indipendente da questo è il motivo che associa i due fiori nella pura e semplice rappresentazione di Maria. Ha certo un appiglio in rerum natura, essendo i due fiori più splendidi del creato. Ma il fondamento vero ne è la Bibbia, cioè le traduzioni greche e latine che hanno determinato con quella onomastica gli incerti termini botanici dell’originale; ha potentemente collaborato a fissarlo l’ermeneutica allegorica, che assegnò a Maria, congiungendole in un sintagma, le menzioni di giglio in Ct, 2, I-2 e 7, 2 e di rosa in Sir (24:14); (39:13) e (50:8). Perciò il Pexenfelder li chiama «ornatissimi Mariae clientes». La riunione dei due figuranti in un solo corpo sintattico ricorre con frequenza nell’innologia: «Ave lilium, ave rosa speciosa» la saluta l’innografo della Laus beatae Mariae ascritta a torto a san Bonaventura; e ancora, spigolando fra inni e sequenze: «Gratia te reddit cunctis gratiosam, Te vestivit lilio, sparsit in te rosam»; oppure «Tu rosa, tu lilium, Cuius Dei filium Carnis ad connubium Traxit odor»; e così via. Parallelamente per Cristo. L’attributo «flos Mariae» risale a Sant’Ambrogio; Cristo è associato con Maria al giglio da san Pietro Damiani, In nativitate sanctae Mariae: «Lilium vocatur Christus, lilium dicitur et mater Chrtisti»; il tema di Cristo-rosa è svolto a lungo nella Vitis mystica, 15-17 da san Bonaventura.”

G. POZZI, Rose e gigli per Maria. Un’antifona dipinta, in Sull’orlo del visibile parlare, Milano, Adelphi Edizioni, 1993, pp.185-213, vedi pp.200-201.

“Su un ripiano di pietra grigia, sporgente a semicerchio in mezzo, posa un vaso nero contenente un mazzo di nove rose rosse. Lo attorniano quattro steli di giglio, due posati sul tavolo e due eretti dietro, con cinque fiori ciascuno. Dal retro emergono pure tre steli di rose, con sei, otto, nove fiori, taluni in boccio e taluni aperti”. Così padre Giovanni Pozzi, prendendo le mosse da un ventaglio di interpretazioni intorno a questa natura morta apre il suo celebre saggio Rose e gigli per Maria. Un’antifona dipinta (1987). Tre sono i richiami mariani che qui si palesano: le rose rosse indicano la porpora regale di cui è vestita la Vergine Assunta; il vaso richiama le litanie lauretane; il color nero invoca un versetto del Cantico dei Cantici: “Nigra sum, sed formosa”. Infine, i due serti di gigli e rose alluderebbero alle vergini e ai martiri che attorniano lodandola Maria, perché circonfusa di verginità e martirio, di castità e di carità. L’interpretazione del soggetto converge dunque sul fatto che il dipinto svolga un tema simbolico. La disposizione singolare dei fiori ritratti, scrive da ultimo Pozzi: “richiama in modo più impellente il «circondare» dell’antifona”. L’immagine quindi si traduce in un rebus, in una cifra scritta con rose e gigli di fattura naturalistica dove dappertutto si rintraccia la sigla mariana. Anche i fiori partecipano a definirla. Così, tracciando una linea fra i quattro gigli e il vaso centrale si ottiene una M. che a sua volta si interseca con una A. che si viene a formare dall’angolo costituito dai tre gruppi di rose assieme alle rose del vaso centrale.

LILIES AND ROSES AROUND A VASE OF ROSES
Father Giovanni Pozzi (Locarno, 1923 – Lugano, 2002) was a Swiss-Italian priest, Capuchin friar, literary critic and academic. Author of the celebrated La parola dipinta (Adelphi 1981), an extensive discussion of the subject of figurative poetry, Father Pozzi was long fascinated by flowers, analysing them as keys to understanding the meanings and symbols of some of the loftiest passages in Western literature, as well as in painting. In one of the essays in the book Sull’orlo del visibile parlare, theology and botany are intertwined in the exploration of the mystic rose, ranging across centuries and countries. Mystic roses were a focus of his attention for a long time: together with Claudio Leonardi, he edited a book on female mystical writers, Scrittrici mistiche italiane (Marietti 1988), and then went on to discuss them himself in several of the essays in Alternatim (Adelphi 1996).

Returning to the old link between painting and literature, whose origins lie in the Horatian principle of Ut pictura poësis, ‘as is painting so is poetry’, Father Giovanni Pozzi carried out a lively analysis of the phenomenon of the absorption of the word by painting that characterised artistic production from the 15th century onward, describing pictures that stemmed from a text ready to be deciphered. ‘Rose e gigli per Maria’ (Roses and Lilies for Mary) took as its starting point a range of interpretations of a 17th century still life by the Spanish painter Juan Fernández el Labrador. Pozzi reviewed them and assessed them critically, relaunching the relationship between word and image and reviving that procedure so admirably described by the great theorist Tesauro: ‘what is written should be legible; and so should what is painted’. And so Father Pozzi translated the icon into a statement: ‘lilies and roses around a vase of roses’. Thus the painting was revealed to be a perfect equivalent of the entire phrase of the responsory Vidi Speciosam: ‘And like a day in spring she was surrounded with flowers and lilies of the valleys’.

Here we quote two passages on the subject of Marian floral attributes:

‘Virginity, motherhood, immaculate conception, innocence, purity and beauty are the Marian attributes evoked, separately or in groups. They are not, theologically speaking, analogous concepts. The theological perspective, which matters in a sacred subject, proposes alternatives rather than equivalences. They are some of the many attributes of Mary that speculation and devout practice have covered with a vast but precise symbology. The whole progress of piety and theology is accumulated in it. New feasts, new devotions, new dogmas have introduced new concepts without ever altering the established metaphorical system. When belief in the immaculate was asserted, the lily, previously used to signify the virginity, chastity and innocence of the Madonna, was called on to represent this new element too (and above all). Yet the polysemy of these metaphorical entities, apparently unbounded and incessantly inflated, conserved its own rigorous internal order, so that the difference and hierarchy of the dogmatic, moral and anagogical postulates covered by a single metaphorical figure were respected. There was an order of meanings. This can be seen very clearly in the case of the lily and rose, where we observe that the many meanings are arranged in a series of opposing pairs. If the lily signifies virginity, i.e. an aspect of Mary’s singular position as a woman, it is opposed in the rose by motherhood. If innocence, a quality connected to her human nature and consisting in exemption from actual sin, it is opposed by patience as submission to the effects of sin. If chastity, a moral virtue entailing abstention from sexual pleasure, it is opposed by charity in the sense of unfleshly love. If virginity, understood as a category of sanctity, it is opposed by martyrdom, undergone spiritually by the mother in the Passion of her son. Only immaculate conception has no counterpart; but there is a tendency to give it one by attributing to the rose the significance of motherhood. It is an acceptable correlation inasmuch as motherhood is the ground on which the dogma is founded. To the broadening of semantic values under the single signifier answers a set of correspondences between the meanings expressed by the two symbols. One can be named without the other; at a paradigmatic level one is in contrast with the other.’

G. POZZI, ‘Rose e gigli per Maria. Un’antifona dipinta’, in Sull’orlo del visibile parlare (Milan: Adelphi Edizioni, 1993), pp. 185-213; p. 187.

‘Lilies and roses placed together uniquely indicate the person of the Madonna on the many feasts held in her praise. Floral piety has attributed to Mary almost the entire botanical repertoire, sometimes assigning one attribute to each flower, at others bringing the whole flora together to praise her name; they are two treatments of a single celebrated theme, that “hortus conclusus” which infallibly comprises lilies and roses as well, but has nothing to do with our painting. Different from and independent of this is the motif that associates the two flowers in the pure and simple representation of Mary. It certainly has a pretext in rerum natura, as the two flowers are the most splendid in creation. But the true foundation for this is the Bible, that is to say the Greek and Latin translations that have given those names to the uncertain botanical terms of the original. This has made a powerful contribution to fixing the allegorical hermeneutics that assigned to Mary, connecting them in a syntagma, the mentions of the lily in Song 2:I-2 and 7:2 and the rose in Sir (24:14); (39:13) and (50:8). Thus Pexenfelder calls them “ornatissimi Mariae clientes”. The union of the two figures in a single syntactical unit recurs frequently in hymnology: “Ave lilium, ave rosa speciosa” is how she is saluted by the hymnist of the Laus beatae Mariae, wrongly ascribed to St Bonaventure; and again, gleaning among hymns and sequences: “Gratia te reddit cunctis gratiosam, Te vestivit lilio, sparsit in te rosam”; or “Tu rosa, tu lilium, Cuius Dei filium Carnis ad connubium Traxit odor”; and so on. Similarly for Christ. The attribute “flos Mariae” dates back to St. Ambrose; Christ is associated with Mary and the lily by St Peter Damian, In nativitate sanctae Mariae: “Lilium vocatur Christus, lilium dicitur et mater Chrtisti”; the theme of Christ and the rose is explored at length in St Bonaventure’s Vitis mystica, 15-17.’

G. POZZI, ‘Rose e gigli per Maria. Un’antifona dipinta’, in Sull’orlo del visibile parlare (Milan, Adelphi Edizioni, 1993), pp. 185-213; see pp. 200-01.

Image: Juan Fernández el Labrador (?), Allegory of the Immaculate Conception, 17th century, oil on canvas. Private collection, Bergamo.

‘On a shelf of grey stone, jutting out in a semicircle in the middle, stands a black vase containing a bunch of nine red roses. It is ringed by four stems of lilies, two lying on the shelf and two set upright behind it, with five flowers each. From the back also emerge three stems of roses, with six, eight and nine flowers, some in bud and some open’. This how Father Giovanni Pozzi, taking a range of interpretations of this still life as his starting point, begins his celebrated essay ‘Rose e gigli per Maria. Un’antifona dipinta’ (1987). There are three allusions to Mary that stand out here: the red roses indicate the royal purple in which Our Lady of the Assumption is dressed; the vase recalls the Litanies of Loreto; the colour black invokes a line from the Song of Songs: ‘Nigra sum, sed formosa’. Finally, the two wreaths of lilies and roses would be an allusion to the virgins and martyrs who surround Mary, singing her praise, because she is circumfused with virginity and martyrdom, chastity and charity. Thus the interpretation of the subject converges on the fact that the painting develops a symbolic theme. The peculiar arrangement of the flowers depicted, writes Pozzi at the end, ‘recalls in a more pressing manner the “surrounding” of the antiphon’. So the image turns into a rebus, into a cypher written with roses and lilies of naturalistic appearance in which the initials of Mary can be traced everywhere. Even the flowers help to define it. Thus, drawing a line between the four lilies and the vase at the centre we obtain an M, which in turn intersects with an A that is formed by the angle created by the three groups of roses together with the roses in the vase.





“Faith” fa parte del disco “After Virtue”, un concept salutato spesso “d’impianto medievale”. È un album per pianoforte e voce pubblicato nel 1988 (da Les Disques du Crépuscule e in Italia da Materiali Sonori) e si collega al clima e ai suoni di “A Man of No Fortune, and with a Name To Come” (1986) ed “Educes Me” (1987). E’ ispirato alle virtù teologali e cardinali della dottrina catttolica. Otto brani (Mertens aggiunge alle virtù canoniche “Humility”) rappresentate (se così si può dire) con delicatezza, con una certa parsimonia espressiva, ma sempre con una forte vocazione melodica: la musica racchiude umanità (in fondo intorno a esse ruota la morale umana) e in certi momenti è veramente capace di toccare le corde più profonde dell’ascoltatore.
Il brano “Faith” si presenta con una lunga parte strumentale, l’uomo è solo con il pianoforte, un suono delicato, a tratti come incerto (come può essere la stessa ricerca della fede…). Poi il brano sale, con vigore, fino allo svolgimento pieno del tema nel finale quando infine entra la voce.
Definire la musica di Wim Mertens non è facile. È l’incrocio tra tradizione classica ed esplorazione di nuovi modelli e atmosfere. Recentemente il maestro belga ha affermato in un’intervista a un quotidiano spagnolo: “L’obbiettivo della mia musica è quello di raggiungere un pubblico non specializzato”. “Faith” è l’esempio di come questo sia possibile.

Giampiero Bigazzi, Ottobre 2022




The track “Faith” comes from After Virtue, a concept album often described as being ‘in a mediaeval key’. It is an album for piano and voice released in 1988 (by Les Disques du Crépuscule, and in Italy by Materiali Sonori) and was connected with the atmosphere and sounds of A Man of No Fortune, and with a Name to Come (1986) and Educes Me (1987). It is inspired by the theological and cardinal virtues of Catholic doctrine. Eight tracks (Mertens added ‘Humility’ to the canonical virtues) performed (if we can put it like that) with delicacy, with a certain frugality of expression, but always with a strong melodic bent: music embodies humanity (after all of human morale turns around it) and at certain moments it is truly capable of striking the listener’s deepest chords.‘Faith’ commences with a long instrumental section: the man is alone with his piano, a delicate sound, sometimes almost uncertain (as the search for faith itself can be…). Then the piece rises vigorously, until the full development of the theme at the end, when the voice finally enters.Wim Mertens’s music is not easy to define. It is a meeting between the classical tradition and the exploration of new models and atmospheres. In a recent interview given to a Spanish newspaper the Belgian composer declared: ‘My aim in my music is to reach a non-specialised audience’. ‘Faith’ is an example of how this is possible.
Giampiero Bigazzi, October 2022

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